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giovedì 26 dicembre 2013

Gli Amici

Gli Amici, bambina mia, sono il sale della terra e lo zucchero dei tuoi giorni. Di quelli belli, inondati di sole, e di quelli un po' bui e tristi.
Sono il fuoco scoppiettante del tuo camino, risate a crepapelle e mani sulle spalle.
Sanno di sere d'estate e di zenzero e cannella d'inverno. Di abbracci caldi e lacrime salate.
Vicini o lontani, saranno sempre nel tuo cuore. A volte ti deludono, altre ti consolano, li perdonerai sempre, perché senza di loro la tua vita non avrà sapore.
Alcuni diventano come un'altra famiglia, ti fanno sentire a casa quando a casa non sei. Ti colmano il cuore... e anche il bicchiere!
Sono giorni di festa nei giorni normali. La risata contagiosa, lo sbadiglio in compagnia, sono "stacca prima tu... un due tre...",  sono "l'ultima cosa e poi spegniamo la luce".
Sono le parole che non hai bisogno di dire e quelle che invece le dirai sempre.
Sono la mano tesa e a volte le botte, sono "scusa - no, scusami tu".


Agli amici stanotte dico grazie e buon Natale. Grazie, semplicemente perché ci siete!

lunedì 9 dicembre 2013

poco... tanto!

Scrivo poco ormai, quasi niente.
Leggo meno, purtroppo. Mi rapisce il sonno insieme a te. 
Amo tanto però. Di un amore che mi pretende, tutta (e giustamente!).
Allora sto in silenzio ad amarti e lascio a te le parole, che sei più brava di me, di sicuro. Te ne bastano poche per dire tanto.
Tanto, lo dici mentre ti addormenti, allunghi una mano e mi vieni a cercare. Tu forse non lo sai, ma con quella mano mi raggiungi l'anima, ti posi sul cuore, leggera come ali di farfalla, sciogli i nodi di una giornata, distendi anche le rughe!
In silenzio, mi godo questo balsamo, mi sento risuonare le tue dichiarazioni d'amore... ti amo tanto, ti voglio un bene grande grande... ma quanto sei bella piccina mia?
Mi lascio dorrnire accanto a te, una mano sul cuore (un piede contro il fianco!), che c'è tempo, mi dico, per scrivere ancora un po'.

Stanotte la ninna nanna te la canta un poeta... la balliamo insieme, abbracciate strette. Tanto strette!

"C'è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l'ora muta delle fate"

giovedì 28 novembre 2013

ti direi...

Guardami. Non nascondermi i tuoi occhi, ché per me sono luce. E in quella luce io esisto.

Parlami, perché la tua voce mi accarezza l'anima...

il tuo latte mi addolcisce i giorni e le notti, ah le notti! mi scorre dentro caldo come la vita.

Toccami, ché la tua pelle è la mia casa.

Pensami, sognami, amami, perché del tuo amore io vivo.

mercoledì 2 ottobre 2013

Eleven

Sono le undici, e mentre ti addormentavi accanto a me, mentre sotto le mie mani il tuo corpo si assopiva e i capelli si facevano ancora più morbidi (possibile?) mi sei tornata in mente appena nata, nei tuoi primi giorni, nei nostri primi passi in un mondo nuovo.
Ti ricordo così piccola che la mia mano bastava a coprirti la schiena, la tua testa piena di capelli nel mio palmo. Fragile e forte, piena di vita, tutta vita, un mistero che respirava tra le mie braccia. Ricordo la pace che sentivo nel vederti dormire e mi dicevo che non c'è niente al mondo di più bello che vederti dormire. E lo dico ancora, ma mi contraddico un istante dopo, quando allunghi la mano per farmi una carezza, per abbracciarmi, quando ti sento parlare, rispondermi "TANTO" al mio "ti voglio bene amore"! Quando mi metti il broncio e poi lo disfi con il tuo sorriso, si scioglie tutto come neve al sole. Perché non c'è niente di più bello al mondo che sentirti e vederti crescere, diventare. Perché la vita è questo: diventare!
E mi dico che quella neonata, che quel mistero meraviglioso che sei stata per me lo sarai sempre. Perché è lì, dentro di te. Lo sarai sempre, per sempre.


È questo che penso mentre mi addormento anch'io, che a ogni compleanno sarai sempre più grande, ma sarai sempre quella piccola vita appena nata. Lo siamo tutti, i bambini che siamo stati, dovremmo ricordarcelo ogni volta che cerchiamo di essere ascoltati, di essere amati. I più fortunati lo sanno, altri se ne dimenticano, ma forse possono ancora scoprirlo. 
Penso che anche Sandra Cisneros lo sapesse quando ha scritto La casa di Mango Street, quando ha scritto le sue short stories. 
Sandra Cisneros è una scrittrice tra le più importanti della letteratura chicana. Ha una voce calda, un tono da cantante, fresco e avvolgente, una lingua che sembra un gioco, come quella dei bambini che tutto scoprono e non hanno ancora paura di sbagliare, un tocco che sa cosa andare a risvegliare.
L'avevo scoperta all'università, grazie alla prof che teneva un corso stupendo sulla letteratura americana, l'ho riscoperta quest'estate quando ho comprato due suoi libri e mi sono ritrovata a leggere una short story che avevo voluto tradurre ai tempi... l'ho cercata e l'ho trovata.
Se vi va di leggerla è riportata qui di sotto.

Undici anni


Quello che non capiscono dei compleanni e che non ti dicono mai è che quando hai undici anni ne hai anche dieci, e nove, e otto, e sette, e sei, e cinque, e quattro, e tre, e due, e uno. E quando ti svegli il giorno del tuo undicesimo compleanno ti aspetti di sentirti diversa, ma non è così. Apri gli occhi e tutto è uguale a ieri, solo che è oggi. E non pensi di avere undici anni, pensi di avere ancora dieci anni. E infatti ce li hai, sotto quell’anno che ti fa diventare più grande.
     Per esempio qualche volta capita che dici qualcosa di stupido, e quella è la parte di te che ha ancora dieci anni. O magari un giorno vuoi stare in braccio alla tua mamma perché hai paura, e quella è la parte di te che ha cinque anni. Oppure un giorno, ti vuoi mettere a piangere, come quando avevi tre anni. E va bene così. Lo dico sempre alla Mamma quando vedo che è triste e sembra che vuole mettersi a piangere. Può darsi che si sente come quando aveva tre anni.
     Perché diventare grandi somiglia a una cipolla o ai cerchi dentro il tronco di un albero o alla mie bamboline di legno che si infilano una dentro all’altra, ogni anno dentro al prossimo. Ecco com’è avere undici anni.
     Non pensi che hai undici anni, per niente. Passano dei giorni, delle settimane a volte, o anche dei mesi prima che rispondi undici quando ti chiedono l’età. E non ti piace dire undici, almeno non fino a quando non hai quasi dodici anni. È proprio così.
     Però oggi non volevo avere solo undici anni che mi rotolavano dentro come monetine dentro una scatoletta di latta. Oggi volevo avere centodue anni invece che undici perché se avevo centodue anni lo sapevo cosa dire quando Mrs. Price ha messo il maglione rosso sul mio banco. Sapevo dirle che non era mio invece di stramene lì seduta con quella faccia e niente che mi usciva dalla bocca.
     “Di chi è questo?” dice Mrs. Price, e tiene in mano il maglione rosso per farlo vedere a tutta la classe. “Di chi è? È rimasto nell’attaccapanni per un mese.”
     “Mio no,” dicono tutti “Io no.”
     “Deve essere di qualcuno,” dice Mrs. Price, ma nessuno si ricorda. È un maglione bruttissimo con i bottoni rossi di plastica e il collo e le maniche così stropicciate che le puoi usare come corda per saltare. Sembra vecchio di cent’anni e anche se era mio non lo dicevo.
     Forse perché sono secca, forse perché le sto antipatica, quella stupida di Silvia Saldìvar dice: “Per me è di Rachel”. Uno schifo di maglione come quello, tutto rovinato e vecchio, ma Mrs. Price le crede e così prende il maglione rosso e lo mette proprio sul mio banco, ma quando apro la bocca non mi esce niente.
     “Non è, io non, lei non…Non è mio,” dico alla fine con una voce così piccola che forse ero io quando avevo quattro anni.
     “Ma certo che è tuo, ” dice Mrs. Price. “Mi ricordo di avertelo visto addosso una volta.” Solo perché lei è più grande ed è la maestra, lei ha ragione e io no.
     Non è mio, non è mio, non è mio, ma Mrs. Price è già arrivata a pagina trentadue, al problema di matematica numero quattro. Non so perché ma tutto a un tratto sento un male dentro, come se la parte di me che ha tre anni mi vuole uscire dagli occhi, ma io li chiudo forte forte e stringo i denti strettissimi e cerco di ricordare che oggi ho undici anni, undici. La mamma mi farà una torta per stasera, e così quando papà torna a casa tutti canteranno tanti auguri a te, tanti auguri a te.  
     Ma quando non sento più male e apro gli occhi, il maglione rosso è ancora là come una montagna rossa gigante. Allora lo sposto nell’angolo del banco col mio righello. E allontano il più possibile la mia matita, i miei libri e la mia gomma. E un pochino sposto anche la sedia verso destra. Non è mio, non è mio, non è mio.
     E nella mia testa cerco di pensare a quanto manca al pranzo, quando finalmente posso prendere il maglione rosso e tirarlo via oltre il cortile della scuola, oppure lasciarlo appeso ad un parchimetro o arrotolarlo tutto come una pallina e lanciarlo nel vicolo. Ma quando l’ora di matematica è finita Mrs. Price si mette a gridare davanti a tutti, “Adesso basta Rachel,” perché ha visto che ho spinto il maglione rosso nell’angolo piccolo piccolissimo del banco ed era rimasto lì a penzolare come una cascata, mentre io facevo finta di niente.
     “Rachel,” dice Mrs. Price. E lo dice in un modo che sembra molto arrabbiata. “Adesso ti metti quel maglione e la smetti con queste stupidaggini.”
     “Ma non è…”
     “Subito!” Dice Mrs. Price.
     Ecco quando non volevo avere undici anni, perché in quel momento tutti gli anni che avevo dentro (dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due e uno) si erano messi a spingere da dietro gli occhi quando ho messo un braccio nella manica di quel maglione che puzzava di formaggio, e poi dopo, l’altro braccio nell’altra manica e stavo lì con le braccia aperte come se il maglione mi faceva male, ed era vero, tutto che pungeva e pieno di germi che non sono neanche i miei.
     E in quel momento tutto quello che avevo trattenuto la mattina da quando Mrs. Price aveva messo il maglione sul mio banco è uscito fuori, e tutto ad un tratto sono scoppiata a piangere davanti a tutti. Volevo essere invisibile ma non lo ero. Ho undici anni e oggi è il mio compleanno e sto piangendo come una di tre anni davanti a tutti. Mi metto la testa nel banco e mi nascondo la faccia tra le braccia con quelle stupide maniche da clown. Ho la faccia tutta calda e la saliva che mi viene alla bocca perché non riesco a fermare quei versi che faccio, finché non mi vengono più lacrime negli occhi e tremo tutta come quando ho il singhiozzo e la testa mi fa male come quando bevo il latte troppo in fretta.
     Ma il peggio arriva proprio prima della campanella. Quella stupida di Phyllis Lopez, che è ancora più cretina di Sylvia Saldìvar, dice che si ricorda che il maglione rosso è suo! Così io me lo tolgo subito e glielo do, solo che Mrs. Price fa finta di non accorgersi di niente.
     Oggi ho undici anni. La mamma mi sta facendo una torta per stasera e quando papà torna dal lavoro la mangeremo. Ci saranno le candeline e i regali e tutti canteranno tanti auguri a te, tanti auguri a te Rachel, solo che ormai è troppo tardi.
     Oggi ho undici anni. Ho undici anni, dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due e uno, ma volevo avere centodue anni. Volevo avere tutto tranne che undici anni, perché voglio che oggi sia già lontano, lontano come un palloncino che vola via, come una piccola, piccolissima o nel cielo, così minuscola che devi stringere gli occhi per vederla.          




Nota importante: quella che trovate sopra è una proposta di traduzione personale, non la versione attestata e pubblicata in italiano, che trovate nel "Fosso della strillona", edito da La Nuova Frontiera.
Detto questo, un grazie di cuore alla professoressa Baccolini!

lunedì 9 settembre 2013

Occhi

Ti è mai successo di vedere l'amore? Se lo cerchi è negli occhi che lo devi guardare. Dritto dritto senza voltarti mai, e non aver paura di annegare, perché è lì che si respira e l'aria è dolce e ha un colore che ti riempie il cuore.
Ho avuto una vita di sguardi intelligenti che mi hanno specchiato l'anima, risposto a ogni pensiero prima ancora d'averlo detto.
Laghetti sereni d'acqua pulita. Un'acqua antica come il mondo e i suoi segreti, che si alza e si abbassa in sintonia con la luna, che registra i giorni della vita, i suoi dolori e le sue meraviglie.
Occhi che ti ascoltano, occhi che rispondono. Belli come boschi incantati. Gli occhi delle mie sorelle.
Poi sei arrivata tu, bambina mia, che mi hai cercata e con i tuoi occhi mi hai fatto innamorare. Occhi nuovi che raccontano vecchie storie, di una nostalgia di cose lontane, una promessa di cose a venire.
Uno sguardo magnetico che mi ha incollata a te. Occhi caldi di fuoco, dolci e morbidi come cioccolato che fonde. Del colore del papà nella forma dei miei, un'anima antica in un corpo nuovo.
I tuoi occhi che incontro ogni mattina, più aperti dei miei, che mi guardano dritto e in uno svolazzo di ciglia lunghissime mi dicono Mamma! e mi chiedono amore, perché sono amore.
Che rimanga nel cuore quest'estate che hai mangiato con i tuoi occhi golosi, afferrato con le mani, baciato con la tua bocca profumata.
Quest'estate di baci, di braccia ad abbracciarti, di occhi solo per te.


venerdì 23 agosto 2013

La morte del poeta

Cu' voli puisia vegna 'n Sicilia
Anonimo.

Vero. La poesia c'è, è stato un regalo, un'eredità senza pegno, ma senza merito. Il poeta, lui è morto, o bandito. Calunniato, violentato, ce lo siamo giocato e abbiamo perso. Abbiamo già perso.
Il senso della perdita lo sento dentro il petto come un colpo sordo, in fondo alla gola, dolceamaro, come la gomma che brucia. Negli occhi feriti dalla bruttezza dell'inciviltà contro la storia, dell'indolenza contro la poesia, dell'olezzo del piscio contro l'odore del mare, delle mani dell'inetto su questa terra.
No che non chiedo scusa, io sono ferita. Io che muoio di nostalgia, ma che distolgo lo sguardo troppe volte, come quando chiudo gli occhi al sole, perché fa troppo male.
Terra antica di sapori lontani, di racconti sotto le stelle o attorno al fuoco. Terra di zagara, di luce e ombre che piangono la loro benedizione. Terra di approdi e di addii, di conquistatori e conquistati.

CieloTerraeMare.
Terra d'incanto, dove la pelle bruna d'ulivo saraceno incontra gli occhi azzurronormanno che strappano il cuore. Terra di gelsi, bianchi o neri, sotto le scarpe, che li pesti e senti già il sapore che ti pizzica le guance, di gechi sui muri accanto ai lampioni, di sere d'estate al profumo di gelsomino, dei venditori ambulanti dalle voci arabeggianti, che cosa vendono chissà... dei balconi gocciolanti, coi gerani e i panni stesi come bandiere sbiadite al sole. Delle buganvillee, fiere e ostinate, sotto il sole impietoso, contro il vento rabbioso, dell'agave, dei fichi d'india. Dei bambini che giocano in strada al tramonto, canottiera e ciabattine, a ciabattare e ciabattare. Di salotti sui marciapiedi davanti alla porta di casa, con tanto di sedie impagliate e ospiti e chiacchiere.
Terra mia sei diventata sporca, abbandonata, hai perso i tuoi poeti. Seduci ma poi abbandoni. Troppo dura, troppo aspra. Calpestata non ti pieghi, ma ammorbata stai soffrendo, soffocata, deturpata, di una bellezza deforme, inutile, fai rabbia. Rabbia per il tuo poeta, morto senza lacrime, asciugate al vento. Dimenticato, solo, lontano... via le mani via gli occhi... rabbia perché mi sento sola a piangerlo, e invece vorrei chiamarlo, convincerlo a tornare, e invece credo di averne dimenticato il nome.

martedì 16 luglio 2013

Baby [bebì]

Stasera hai scoperto una parola nuova, l'hai ripetuta dopo che ti avevo detto "su baby, andiamo a letto". Mi hai guardata furbetta e mi hai ripetuto bebì in un sorriso. L'averla sentita così uguale a come te l'avevo detta ti ha stupita e hai cominciato a ripeterla ridacchiando di quel riso sonoro che mi fa impazzire. 
Ho sentito il gusto di quella parola che rimbalzava tra me e te quando dal seno sollevavi il viso verso di me, gli occhi sulla mia bocca in attesa di una risposta, della tua eco, e compiaciuta tornavi a poppare. 
Ero stanca, la giornata è stata lunga, hai pianto e ti sei lamentata perché stanca non hai voluto dormire, ma questa danza me la sono goduta stasera bebi mia, perché, fosse anche per una sola notte, ma stanotte sì, ti sei addormentata con un sorriso. 
Le stelle stanotte sanno di latte mi ripeto e la luna nel cielo ci sorride. Stanotte la nanna è facile bebì!

Nasce il sole e poi va su e attraversa il cielo blu 
quando arriva l'imbrunire torna a casa e va a dormire 
e per dar la buonanotte vien la luna color latte 
con le stelle e con Saturno e così finisce il giorno
Grazie Pimpa ;)
... e grazie a Giorgia Cozza e Maria F. Agnelli per La nanna è facile! 

Consigli tascabili, carezze e sorrisi per grandi e piccini. La semplicità e l'immediatezza delle parole sono accompagnate da simpaticissime vignette. Un piccolo grande tesoro da consultare, per informarsi, per confrontarsi e, perché no, riderci un po' su!

giovedì 4 luglio 2013

Il libro del NO

Non ci bastavano i nostri... abbiamo trovato un libro e ci siamo innamorate.
Adesso la mia Mimi mi indica il libro e mi dice NO, NO facendo sì con la testa... Mamma me lo leggi?
Indovinate perché? Facile, il libro è questo


È in inglese, ma le frasi sono semplici e accompagnate dalle illustrazioni, divertenti e vivaci. Gliel'ho letto in italiano, ma quando sarà più grande ci proveremo anche in lingua originale.
Mimi è una piccola talpa con salopette viola e cappellino di paglia. Sta crescendo e inizia curiosa a voler esplorare il mondo e manifestare la sua voglia di indipendenza. NO è la sua risposta preferita ai tentativi della mamma di aiutarla a vestirsi, a versare il latte nella tazza, a salire sullo scivolo al parco... vuole fare da sola. I risultati sono divertenti, per vestirsi da sola fa una serie di capitomboli e alla fine ce la fa... più o meno!
La mamma è sempre lì, pronta ad aiutarla o a rimediare ai guai. Dai che la mamma ti porta al parco, NO, ci vado da sola! (n.d.r.)
Su per la scala dello scivolo Mimi vuole andare da sola, ma scivolando cade e si fa male. Vieni che la mamma ti abbraccia Mimi. NO, ti abbraccio io mami! (n.d.r.)
L'amore ti ripaga sempre mami! Quando è difficile, ti richiede tempo, pazienza e tanta umiltà, ma ricorda che ne vale sempre la pena.
Buona lettura!

Il post NON è sponsorizzato.
Le frasi che ho riportato sono proposte di traduzione personali, il libro è stato già tradotto in 14 lingue, ma non in italiano. 

giovedì 27 giugno 2013

Il NO periodico

Avete presente i numeri periodici? Quei numeri decimali che si ripetono all'infinito... Io ne ho una vaga idea, ricordi annebbiati, e annoiati, degli anni di scuola... per fortuna, nella mia vita non mi è mai servito ricordare di più o più approfonditamente (matematicamente parlando s'intende) altrimenti ci sarei andata fregata! Ho trattenuto solo quello che mi serviva... tipo calcolare la percentuale di sconto (utile per lo shopping!) o fare due conti, giusto per accertarmi che mi dessero il resto esatto! L'onestà di restituire l'eccesso, grazie a Dio, non c'entra con la matematica!
Perché mi sia tornata in mente la storia del numero periodico l'avrete capito, mia figlia ha scoperto il no e ora lo dice di continuo, persino mentre dorme (arrrgh!!!).
All'inizio era uno spasso, abbiamo scoperto le varie declinazioni del no... la doppia negazione: "NONO!" perentorio e accompagnato dal gesto deciso del ditino davanti la faccia, il "no" semplice, secco e di grande effetto, fino al più vezzoso "GNO!" detto col nasino arricciato e mezzo sorriso. Presto è diventato un delirio di NONONONONONO... - Amore lo dai un bacio alla mamma? - NO!, -Dai vieni, andiamo fare una passeggiata... -No, mentre con le mani batte già sulla porta d'ingresso per uscire.
L'altra mattina mi sono svegliata al suono dei suoi no, non stava rispondendo a nessuna domanda, mi sono accorta che stava semplicemente ripassando il suo repertorio!
Niente paura mi dico, l'avevo già letto che è una fase normale, anzi imprescindibile della crescita, della conquista dell'autonomia del bambino (un bell'articolo lo trovate qui, insieme a tanti spunti di riflessione e testimonianze di alcune mamme).
Sdrammatizzo, le faccio un po' il verso, la faccio ridere con le battaglie no/sìNO/sì/Gno/Sìno/SSSSììììì... e cerco di arrricchire le possibilità di replica con l'OK, accompagnato dal gesto della mano, risultato: il suo sì è un raggio di sole che mi illumina la vita, raro (ancora) ma prezioso.
La matematica non sarà un'opinione, ma secondo me questo no è solo un periodo, passerà!

martedì 25 giugno 2013

Io allatto alla luce del sole

Io allatto alla luce del sole 4 
Una campagna a sostegno dell'allattamento materno mi fa lo stesso effetto di un cartello in un campo con su scritto "Non gettare rifiuti".
Non servirebbe se ci fosse più rispetto, una sensibilità "buona", per le cose giuste, belle, per la natura. Eppure serve, perché spesso subiamo il fascino nefasto delle mode contro natura. Siamo assuefatti all'artificio, alla bellezza ingannevole, senza età, senza peso, a un'umanità senza anima, senza odori, senza umori. Solo belli, puliti e profumati.
Sembra che contrastare la natura, il suo incedere su di noi, sia diventato un dovere morale, un atto dovuto di rispetto verso il prossimo. In tutto questo ben pensare non abbiamo lasciato un po' di spazio per l'amore, quello vero, che ti scompiglia la vita, che ti fa andare controvento, ti spettina e ti fa piangere gli occhi. Non abbiamo lasciato spazio per i nostri bambini, almeno fino a quando non li avremo addestrati per bene a non farci fare troppe brutte figure. Perché noi odiamo le brutte figure.
E non c'è spazio per una mamma e il suo bambino, perché c'è sempre qualcuno che si vuole mettere in mezzo e dire come fare. Perché i bambini sono sempre troppo piccoli o troppo grandi, sono sempre troppo bambini. E non hanno diritto a un bel niente.
Allattare per una mamma è un modo per riprendersi i suoi spazi, il suo tempo, il suo bambino. Per dirgli io ci sono, io sono qui con te (grazie, Elena Balsamo) nonostante tutto.
Per me è stato un modo per ritrovarmi, per raccontarti, per confortarci. Il seno per te un gioco, una nenia, una culla dolce. Benedico il latte che ci ha nutrito d'amore, bambina mia, che ci scalda i cuori quando fuori fa freddo e ti rinfresca e ti disseta quando è caldo, che ti consola se sei triste, con cui parli agitata quando sei arrabbiata.
Non è sempre stato facile, e a volte sono stata stanca, arrabbiata e mi sono fatta mille domande, ma sono felice di avere sempre concluso che ne valesse la pena.
Sono felice di averti dato qualcosa che non ha prezzo, ma un valore infinito.

Questo post partecipa a Io allatto alla luce del sole 4

mercoledì 12 giugno 2013

I libri sono come i baci



Se pensate che la vita sia troppo breve per rileggere libri già letti, per rivedere film già visti, visitare posti che si conoscono già, credete che rinuncereste a un bacio dal vero amore solo perché lo avete già avuto? All’emozione di un tramonto, solo perché lo avete visto altre volte? A una giornata al mare, perché insomma, è sempre lo stesso mare?
Non esiste bacio che sia uguale a un altro, il tramonto ti lascerà dentro qualcosa di diverso ogni volta che troverai il tempo di guardarne uno, e il mare, il mare non si ferma mai!
Così in questi giorni ho sentito un richiamo e non ho saputo rifiutare… “Il dio delle piccole cose” è sceso dalla mensola della libreria in cui dormiva insieme agli altri compagni ed è di nuovo fra le mie mani. È il vero amore, ma non è più il primo bacio, non il primo appuntamento, nessuna esitazione o timidezza, ci si conosce bene. Non pensate che sia meno romantico, è solo più appassionato, ci si sfoglia più in fretta per riabbracciarsi, per ricordarsi, e sì. Che lo ricordo!
Ricordo la sensazione di vertigine che provai quando iniziai a leggerlo, una forza che mi trascinava dentro e giù, in fondo e io mi opposi, tirando su la testa come per non annegare. Quando fui in mezzo al fiume, là dove l’acqua si fa più profonda e la corrente più forte, lo incontrai davvero e mi consegnò la chiave del suo cuore. Mi venne voglia già allora di ricominciare daccapo! 
Scrivendo, Arundhati Roy ha creato come dei cerchi concentrici. Li ha creati con delle piccole cose, raccontate poco alla volta o tutte insieme, il dio delle piccole cose, delle piccole vite, delle piccole storie che insieme raccontano la Storia, il Mondo, la Vita. Storie di piccoli uomini, sullo sfondo della grande Storia, di un paese complicato e duro come l’India, tormentato e diviso tra la rivoluzione marxista e i rigidi pregiudizi di casta. Storie di amori sbagliati e di una bellezza struggente, che non trovano posto o perdono nell’ottusa legge dell’uomo, ma che sono là per chi ha ancora bellezza negli occhi per riuscire a vederle. In fondo ho sempre creduto che è là, dove la vita è più aspra e dura, che Dio sembra aver nascosto gran parte della sua bellezza, una bellezza che non a tutti è dato di vedere. Per chi non la vede, l’unica strada possibile è quella di distruggerla, cancellarla, per negarla, al mondo. Perché chi non la vede la teme, ne ha paura come di un’epidemia… “una paura rozza e inconfessata: la paura della civiltà di fronte alla natura, dell’uomo di fronte alla donna, del potere di fronte all’impotenza. L’impulso subliminale che l’uomo ha di distruggere quello che non può sottomettere né divinizzare”.
L’andamento della narrazione non segue un ordine cronologico, vediamo attraverso gli occhi di due gemelli dizigotici, una visione imparziale, pura, di due anime che si conoscevano ancora prima che la vita cominciasse. Il linguaggio è fortemente evocativo, le parole diventano cose, colori, odori che arrivano veri. Con la lingua si gioca, spesso i gemelli leggono parole al contrario, storpiano nomi, si fanno carezze…
L’ultimo capitolo racconta dell’incontro, dell’amore, un racconto appassionato e fortemente sensuale, è come se l’autrice volesse lasciarci così, dopo la perdita, la morte. Nonostante le cose orribili che sono successe, l’amore, la speranza di quella piccola promessa: Naaley. Domani.
Perché l’amore spera, contro ogni legge, contro ogni predizione, l’amore è lasciarsi e dirsi domani.
Ci sono cose che migliorano con il tempo e l’esercizio, ci vuole passione, certo… tra questi ci sono i baci e i libri.  

martedì 28 maggio 2013

Alla ricerca del sé perduto

Quando si è genitori si vive in una strana dimensione sospesa nel tempo in cui si incontrano i fantasmi del proprio passato. Questa compresenza di stadi della vita, di momenti che credevi perduti, di te in infinite versioni può lasciare disorientati, a volte persi nel risentimento, altre penitenti per gli errori commessi.
L'identità si frammenta e si ricompone sotto il peso di sentimenti ingombranti, di conflitti irrisolti... chi sono veramente? Mi darai una risposta, tra qualche tempo, piccola... ho ancora qualche anno per fantasticare da sola, dopo il giudizio sarà UNIVERSALE.
A volte litigo ancora con la ragazza dai capelli lunghi e la faccia dura di chi non te ne perdona una, di chi non se ne fa dire una... il tuffo nel passato era annunciato dal titolo d'altronde, diventa un invito a chiudere gli occhi, anzi no, ad aprirli per bene e andare in cerca di questo sé perduto. Mi ritrovo qui con te in questa stanza a scrivere. 
Scrivere è come pensare a voce alta. Come parlare da soli sperando di incontrare lo sguardo di qualcuno che ti ha sentito per sbaglio, lo sguardo di chi ha capito e con gli occhi risponde.
È un atto d'amore per l'amato/a, per la giustizia, la verità, per il bello. Si scrive per dire, per essere letti, per rispondere a un bisogno, qualcosa che hai dentro. E speri che qualcuno ti legga dentro. Non scordo più quella sensazione che provavo quando consegnavo un tema, una composizione scritta, le mie preferite erano quelle di francese (ne sarebbe fiero il mio prof del liceo!). Scrivere il più delle volte mi aveva richiesto del coraggio, consegnare altrettanto. Quando ricevevo il compito indietro guardavo il voto ma mi soffermavo sul commento, erano le mie recensioni! Da quello capivo se le mie parole erano andate là dove dovevano andare o si erano perse... lost in translation. Perché le parole devono arrivare a qualcuno, le strade non le scegli tu, possono essere diverse, ma un arrivo deve esserci, e ogni approdo è diverso, perché diverso è il suo porto. E a ogni porto la scrittura si contamina, si arricchisce dell'incontro e diventa altro.
Le parole che pronunciamo volano su ali leggere, quelle che scriviamo rimangono a terra o spiccano il volo e fanno chilometri, senza fermarsi mai. Si scontrano, ti incontrano, ti rimangono dentro, le fai leggere agli altri. A volte, se sono parole di uomini coraggiosi e giusti, hanno la forza di mettere paura, di diventare pericolose.
Le parole scritte rimangono vive, diventano di tutti, a ogni lettura un nuovo messaggio. Anche quando sembrano dimenticate, rivivono ogni volta che un lettore le risveglia. Pensateci, loro sono là, sono sempre quelle, eppure mai ti diranno le stesse cose. Avete mai provato a rileggere un libro? Non sarà più lo stesso della prima volta, perché voi siete cambiati, siete cresciuti, siete alla ricerca di qualcos'altro, le interrogate con altre domande... il libro vi piacerà lo stesso, ma può capitare che simpatizzerete con un altro personaggio, che vi accorgerete di un particolare che la prima volta era passato inosservato.
Quelle parole continuano a parlare con noi, alcune hanno attraversato ere, altre continenti, lingue e culture diverse, ditemi se questa è o non è magia, direbbe Mario Venuti.
Mi tornano in mente le parole di George Steiner, quando diceva che attraverso la fruizione dell'arte facciamo esperienza di un incontro e che questo incontro sottende l'esistenza di "vere presenze"...
Alla fine mi ritrovo, in fogli sparsi, ma l'essenziale è in fondo al cuore... ripenso alle mie scelte e alle strade che si sono aperte per caso, a quelle che ho sbagliato e a quelle che ho ritrovato... il corso di laurea in traduzione per stare vicino alle parole, per conoscerle e familiarizzare con loro, per scrivere, per imparare a leggere sul serio. Perché chi traduce legge in un modo profondo che lo fa entrare dentro le parole, per rispondere e scrive per far muovere quelle parole, per colmare le distanze, oltrepassare i confini e preparare quell'incontro per altri.
Infine, sono quello che ho letto, quello che ho scritto, la bambina che piange e vuole far pace con la mamma e la ragazza con il sorriso amaro e gli occhi sognanti... sono la studentessa, quella che telefona a casa da una cabina abbandonata, quella in bianco all'altare, una mamma con la sua bambina, una mamma che sbaglia, che si arrabbia, ma che torna sempre per prima a fare la pace.
Mi piace pensare che siamo nei volti di chi abbiamo incontrato, nelle vite di chi abbiamo incrociato...

nei paesaggi in cui ci siamo persi, nelle strade che abbiamo percorso e in quelle che ancora ci aspettano...
Scrivo qui lasciando pezzi di noi, piccola mia, perché un giorno tu possa ritrovarci così come siamo oggi. Perché queste parole rimangano vive per te, perché tu possa ricomporre il disegno di te...
della tua infanzia attraverso le parole della tua mamma.

sabato 4 maggio 2013

Men at work

Sono fuori a passeggiare con la mia bimba in un pomeriggio di maggio che è già estate.
Nell'aria l'ulivo in fiore, la zagara profumata e l'odore delle more che crescono nella spalliera della campagna di mio padre. Poesia dell'olfatto, aspro e dolce, pungente e soave. È la terra dei contrari, una bellezza che si nutre dei suoi eccessi, niente mezzi termini, a noi piace esagerare, o troppo o niente, nessuna diplomazia, figuriamoci!
Il caldo è fuoco d'aria e di campagne che bruciano. Il vento, il vento batte le strade impolverandole della sabbia del deserto, sbatte le porte, ti spettina, è vastaso, irriverente, schiaffeggia la signora ingioiellata e il villano con la faccia bruciata dal sole.
Passeggio, continuo a passeggiare e mi arrivano chiare le voci degli operai che si urlano tra un palo e l'altro del telefono, dopo che per l'ennesima volta dei delinquenti e miserabili hanno tagliato i fili per rubarne il rame. E mentre lavorano, tra le battutacce e gli insulti, parte anche il motivo della pubblicità della compagnia per cui lavorano... avete presente? eccola
Fa sorridere, almeno un po' mi dico, mentre continuo a spingere il passeggino.
Fanno a gara queste due squadre, quella dei ladri e quella degli operai, una staffetta. Dove finiscono gli uni iniziano gli altri... Il lavoro di Sisifo, sempre a spingere quella cazzodipietra su per il monte per poi vederla rotolare giù  .
È la crisi, dicono. Ma la crisi non può giustificare chi ruba, chi si approfitta, chi specula, chi, per restare a galla spinge giù la testa di un altro. La crisi non è soltanto di chi non lavora, è anche di chi lavora e sopporta condizioni umilianti, la mancanza di diritti, perché l'importante è andare avanti, come non è dato sapere. È di chi lavora e subisce i disservizi per colpa di chi si ostina a rubare, a vivere sulle spalle degli altri, è di chi paga, di chi ha sempre pagato, per tutti. La crisi vince quando pensi che non valga più la pena di vivere onestamente, quando inizi a invidiare chi si può permettere di non pagare, di restare impunito, di saltare la fila e ridere degli altri.
È questo che penso, intanto rientro, la bimba già dorme, e mi metto a scrivere, perché è il mio modo di leggere la realtà, di raccontarmela.

giovedì 2 maggio 2013

That tiny box of mine

Qualche tempo fa ho letto un post bellissimo che mi ha incuriosito. Parlava della rabbia giovane e di un libro che in qualche modo insegnava a gestirla. Subito mi chiesi perché i bambini dovessero arrabbiarsi. Da quel che ricordavo, l'infanzia è il periodo più felice della vita: si è irresistibilmente belli e tutti ti amano (anche se a te bastano le due persone più importanti dell'universo!).
Ma a pensarci bene, questi sono discorsi da adulti, pensieri del senno di poi che i bambini non hanno. I bambini hanno un per sempre o un mai, loro hanno il tempo all'infinito. Che figata! Ma questo vale per il bene come per il male, e ogni certezza o equilibrio può diventare precario. Quindi i bambini hanno paure, hanno frustrazioni, delusioni grandi come le loro aspettative... cosa mi aveva fatto pensare che non avessero il diritto di arrabbiarsi?
I bambini s'incazzano, eccome!
Rinsavita, mi tornano in mente le mie prime incazzature con mia madre. Da piccola dovevo essere una fanatica della moviola in campo, ma erano gli anni '80 e mia madre faceva quello che poteva. La partita si giocava solitamente nel nostro soggiorno, io nella mia postazione sul divano o comodamente seduta per terra a giocare, lei, lei spesso di spalle a fare tante altre cose mentre parlava o cantava con me (a questo ricordo va tutta la mia tenerezza, a quelle tue spalle magre da ragazza, quant'eri bella, mamma! Scusa, per tutto!).
Il gioco si faceva più difficile quando si aggiungevano nuovi giocatori, se per esempio avevamo la TV o la radio accesa. Avevo la fissa delle parole, quando ne sentivo una nuova, dovevo assolutamente saperne il significato. Mentre parlava a un certo punto la bloccavo... "aspettaAspetta, cos'hai detto?" Mia madre ripeteva, ma a me non andava mai bene, c'era sempre qualcosa che mi suonava diverso (avrei scoperto molto più tardi la sintesi e la parafrasi). Io volevo esattamente quella frase, con quella parola, non un sinonimo, io volevo quella! "Almeno dimmi quale" provava a difendersi mia madre, "come iniziava?". "Chennesò, mamma, quella che hai detto prima!"... "Ne ho dette tante" sbuffava lei, ma io le facevo ripetere le frasi a ritroso: "la parola prima... no, quella prima ancora!" finché lei sicuramente non mi mandava affangiro e io rimanevo convinta di essere vittima di una cospirazione che mi privava del sapere dei grandi!
Chissà poi se quelle parole le avevo sentite veramente o me le ero immaginate, sentite distrattamente, un paio di parole ne formavano una nuova, dal suono strano e sconosciuto e con quelle fantasie tormentavo mia madre! Ma questo lo dico adesso, allora... allora era una tragedia, credevo che la strega madre lo facesse apposta. E comunque, apposta o non apposta, finivo per arrabbiarmi sul serio e tenerle il broncio per un po', magari fino alla prossima canzone o al cartone preferito.
Ok, ma quanti anni potevo avere io ai tempi di questi litigi? 4... 5? Non credo che i miei ricordi arrivino più indietro. Mia figlia ci ha cominciato prima, giusto perché in certe cose è bene non farsi superare da nessuno!
Ti guardo e capisco tante cose, piccina. Molte più di quelle che credevo poter capire. I bambini subiscono un numero indefinito di volte l'intervento di un Deus ex machina, che il più delle volte non è stato invocato da loro. Quante volte vengono distolti da un'impresa eroica, se non addirittura fisicamente prelevati, sollevati dall'incarico, trascinati via dal pericolo? Solo perché sono piccoli e li si può sollevare! Pensateci, non ci sogneremo mai di sollevare nostro marito solo perché sta riempendo di briciole il pavimento che avevamo appena lavato (anche se a volte ci starebbe!). La natura ha provveduto a che questo non possa succedere e quindi spesso ci limitiamo a fantasticare sulla scena e magari per questo riusciamo a riderci un po' su!
Di sicuro in quei momenti, piccola mia, devi credere di aver subito un torto grandissimo, e hai ragione, ma la vita degli adulti è scandita da tempi cortissimi, niente tempo all'infinito per noi, ahimè, che spesso diventiamo ciechi e anche un po' matti. Dovresti vederti: la testa all'indietro e la schiena ad arco (con tutte le frecce), rigida e pur scalciante. Se provo a contenere questa cosa, a rassicurarti, mi mandi via, ti devi sfogare, ma guai a me se mi allontano o mi distraggo: tu vuoi i testimoni e i più pazienti saranno ricompensati. Non scorderò mai che dopo una scena di queste, ti sei arrampicata in braccio a me e, prendendomi la testa fra le mani, mi hai dato un bacio grandegrande, insomma abbiamo fatto pace. Hai 15 mesi amore, io queste cose non me le aspetto!
Deve esserci un mostro che ti tormenta di notte e non ti lascia dormire. Ti rotoli, sbatti, ti svegli e finisce che piangi. Questa cosa te la risolvi con la tua tetta, con me, su cui sfoghi i tuoi brutti sogni e il tuo nervosismo. Allora ti attacchi, mi stringi, mi pizzichi (ahi, le tue unghie!), poi ti stacchi, rotoli e torni... tutto d'accapo, ancora e ancora. Vorrei aiutarti, ma mi trovo in balìa del sonno, del dolore, della stanchezza, che sconforto!
Mi torna in mente quella scatola in cui il bambino della storia rinchiudeva quel mostro che era diventato la sua rabbia, e tutto quello che trovo è una scatola piccolissima. Potrebbe starci un anello, ma non quei mostri che ci tormentano. Perché a questo punto non sono solo i tuoi, ci sono anche i miei, sono tanti, diventano più grandi di noi e ci fanno paura.
Devo fare qualcosa, sono la mamma, dovrei dire qualcosa da mamma, tipo... Basta litigare voi! Ognuno dentro la sua scatola, ma prima fate la pace! Dovrei regalartene una tutta tua, piccina per quanto sia, servirà pure e impareremo insieme ad addomesticare i nostri mostri, a parlarci, a farci ascoltare, perché non ci facciano più paura.
Se Pi è riuscito a convincere la tigre a non mangiarlo, possiamo riuscirci anche noi con quei mostri, che ne dici? Possiamo provarci!

martedì 30 aprile 2013

In silenzio quando parli

In silenzio le hai aspettate, credo, perché dimenticarti, lo sai, non l'ho fatto mai.
Tu che sei la mia prima cosa bella, tu col tuo sorriso giovane, tu che con un solo sguardo mi hai fatto innamorare, la tua anima leggera ha convinto la mia che si può anche volare.
I tuoi silenzi no che non sono vuoti, ma non sono pesanti come i miei e non sai quante volte ti ho invidiato io che anche quando non parlo in silenzio non so proprio stare.
In silenzio tu parli, ti parlano le mani, gli occhi, il respiro, e nei tuoi silenzi io parlo alla tua bocca, alla tua pelle, così vicina da essermi sorella.
A volte le cerco io, altre arrivano da sole le tue parole, in punta di piedi, senza far rumore, e mi accarezzano il cuore e anche i capelli.
Non è stato facile, non è stato subito, ma è stato vero, e adesso è nostro questo mare che ci scorre davanti e ci leggiamo negli occhi. A volte è impetuoso e va di fretta, altre uno specchio tranquillo di un cielo pulito e senza ombre.
C'è uno strano vento caldo fuori che annuncia l'estate, che mi stropiccia i pensieri e le lenzuola senza lasciarmi dormire. Mi spettina i capelli di giorno e mi tormenta la notte... allungo le mani a cercarti e non ti trovo. Le tue mani che mi trattengono a terra quando con gli occhi, chiusi o aperti, sono già lontana, braccia che mi risollevano, perché a cadere faccio presto, e la tua voce a consolarmi.
Vorrei averti qui, abbracciarti senza ripartire, averti senza lasciare, ma davvero non si può fare, perciò aprestoamoreciao!

lunedì 1 aprile 2013

L'attimo fuggente

Cogli l'attimo, l'attimo in cui i pensieri prendono forma e le parole diventano frasi. Segui quell'onda, salici sopra, non limitarti a guardarla da lontano, lasciala entrare, ché quando è passata non lascia niente. Me lo dico sempre, eppure ieri mi ha assalita un pensiero e le sue parole filavano lisce, mi scorrevano davanti ordinate, bellissime, tanto che ho iniziato a piangere. Ho continuato a metterle in fila, sembravano perle in un filo, punto, a capo...ed erano belle, chiare, vivide. Credevo persino di toccarle, le avrei volute fermare, trattenere, ma sono colate via come sabbia dai miei pugni chiusi.
Non ho saputo cogliere l'attimo, mi sono lasciata sopraffare dall'emozione. Mi sono detta "no, non ce la faccio, non adesso". Non ero pronta, così mi sono seduta sul divano e ho guardato la tv. Ma non c'ero. Non ero con mio marito che mi parlava e non ero con le mie parole. Ho fatto la cosa più stupida, quella più facile: ho dimenticato. Ho riavvolto e riscritto come su un nastro.
Oggi le ho cercate quelle parole, ma lo sapevo già, è stato come raccontare un'allucinazione. Niente era come prima... mi saltavano davanti per poi scomparire rotolando, inciampando, che dispetto!
Dov'era finita tutta quella bellezza? L'ho vista solo io, nessun testimone, l'ho persa per sempre? Allora ho capito, erano parole che venivano da lontano e non ero io a metterle dentro al filo, dovevo solo raccoglierle. E ci ho provato. Quelle parole erano per mio padre, e se lo conosco bene le sta aspettando con orgoglio silenzioso per poi vantarsela con mia madre, ridendosela sotto i baffi.
Non so se era quello che ti aspettavi, ma è venuto così.

Papà

Se mi chiedi qual è il ricordo più vivo della mia infanzia rispondo il tuo odore di legno e chiodi e martello di quando tornavi a casa la sera. A volte c'erano anche la colla e la vernice di quei barattoli di latta che mi piaceva mescolare di nascosto.
Ci passavi le giornate nella tua putìa, in quella falegnameria che aveva il tuo stesso odore. Ti toglievi la campanella, una "doccia" con l'aria compressa e mi accompagnavi a danza o a studiare da Irene. Borbottavi sempre un po', questo l'hai sempre fatto, ma poi mi accompagnavi... quanto fiato sprecato: aspettavo che finissi per godermi il viaggio in macchina con te, ma a volte duravi quanto il viaggio, peccato! Io in macchina, accanto a te che guidi, un'istantanea un po' accartocciata ai lati, come quelle cose che porti sempre con te, sempre in tasca.
Ricordo la tua Talbot blu quando l'aspettavo all'uscita da scuola e quel buco dietro al tuo sedile che Mara aveva allargato per bene per procurarsi la sua cciunca!
Ricordo che crescendo poi ci siamo allontanati per un po'. Abbiamo percorso strade vicine ma non comunicanti, per evitare scontri che pure abbiamo avuto. Tu forse per paura di quello che potevo diventare, per non aver saputo, o voluto, trovare le parole, o forse anche solo le domande giuste. Proprio non capivi perché mi ostinassi a fare il contrario di quello che mi dicevi. Fino al giorno in cui hanno pubblicato i risultati dell'esame d'ammissione all'università e ho visto quegli occhi blu farsi lucidi davanti a quella lista di nomi, e al mio nome, il tuo nome. Ce l'avevo fatta, ero dentro. In quel momento ho saputo che ci avevi dovuto scommettere su di me.
Ricordo che ti ho visto caricare la mia vita, impacchettata e invaligiata sulla macchina e metterti in viaggio instancabile come sempre, con accanto la mamma, come sempre. Quando ve ne siete andati in quel parcheggio, la mia infanzia è finita in un istante, ero diventata grande e di quel peso in quel momento non sapevo che farmene... Torna pà, torna indietro avrei voluto gridare, mentre tu già sapevi che io non l'avrei più fatto. Avrai asciugato le lacrime alla mamma, a modo tuo, e avrai guidato dritto verso casa. Nessun ripensamento, mai, la tristezza, la mancanza, quella sì. Qualche parola l'avrai rimasticata in bocca, sotto ai baffi, in mezzo a qualche sigaretta e poi soffiata via insieme al fumo, qualche altra l'avrai ragionata con le mani sul volante e gli occhi sulla strada, sempre dritta, sempre quella.
Ricordo le nostre mail, i messaggi e le cartoline. Ci siamo detti cose a cui non eravamo abituati, la lontananza ci ha fatto anche questo, ci ha dato un motivo e il tempo per guardarci dentro, per farci domande e forse anche trovare qualche risposta. Una di queste è che mi porto dentro l'orgoglio e la paura di somigliarti. Ho di te la risolutezza e la caparbietà, il coraggio di credere in quello che faccio e andare avanti, di farmi trasportare e iniziare a volare. Ma non sono un ariete io, e quando atterro poi mi faccio più male, perché cado da troppo in alto, da un ideale di perfezione che mi sfugge sempre. E ho di te una cosa che mi ha fatto sempre paura: quella rabbia all'improvviso che sgomenta tutti, anche noi, una forza oscura che erutta come lava infuocata da un vulcano pacifico. Chi ci sta accanto ha imparato ad aspettare, a lasciarci raffreddare, ma non troppo ché quella lava si fa dura come pietra!
Ricordo il tuo braccio saldo, caldo, tremare sotto l'emozione di una passeggiata all'altare, il tuo bacio sulla fronte, quel ballo che mi ha sciolto il trucco.
Ti ho visto prendere in braccio mia figlia, scrutarla per (ri)conoscerla e ti ho rivisto trent'anni prima mentre prendevi me, che sono stata la tua prima bambina. Le mani grandi a contenere, la braccia forti a rassicurare. E ora che sei diventato nonno, ti faccio gli auguri insieme a Lei, buon compleanno papà.

lunedì 18 marzo 2013

Auguri donna



È da un po' che penso a questo post, l'8 marzo è passato e lì per lì mi sono detta vabé, non ce l'ho fatta, ma continuavo a pensarci, a organizzare le idee e cercare le parole senza capire perché. 
Ieri è successa una cosa e ho capito perché: è stata eletta Laura Boldrini alla presidenza della Camera, una donna, una PRESIDENTESSA! La terza in Italia in 17 legislazioni, la terza in 65 anni. Ho ascoltato il suo discorso, l'emozione nella gola, la sua che parlava con coraggio, la mia che ascoltavo con orgoglio e fierezza. 
Ha osato parole grosse Laura Boldrini. Ha parlato della politica che deve tornare a essere un servizio, che deve tornare a essere vissuta come una passione. Parole di chi oltre alla faccia ci sa mettere il cuore, come solo una donna sa fare, come solo una come lei può fare. Una che ha speso più di vent'anni della sua vita in difesa dei diritti dei più deboli (dopo diverse missioni in luoghi di crisi, dal 1998 al 2013 è stata portavoce dell'Alto Commissariato ONU per i rifugiati per l'Europa Meridionale, occupandosi di flussi migratori nel Mediterraneo). Le sue parole sono state dedicate ai più poveri, ai più deboli, a chi "ha perduto certezze e speranze", alle donne che "subiscono violenza travestita da amore", a chi "ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato", ai detenuti, ai pensionati che dopo aver lavorato una vita non riescono ad andare avanti, ai "morti per mano mafiosa", ai "morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce", perché queste miserie possano trovare voce e perché questa voce possa porvi la parola fine.
E allora auguri Donna! Auguri a te, che sei il volto nuovo e pulito di un cambiamento che aspettavamo, perché le tue parole, così vere, così forti, possano essere il vento di una nuova politica, degna, trasparente e vicina alle persone. 
E auguri a te donna, sorella, amica, mamma, figlia (mia!). Un augurio perché il mondo possa cambiare, perché possiamo trovare la voce per dire basta, il coraggio per difenderci e l'amore per capire che se davvero vogliamo che i nostri figli crescano in un mondo diverso dobbiamo impegnarci tanto ed educare alla Pace, lo ha detto una grande Donna il secolo scorso e c'è ancora tanta strada da fare! Dobbiamo essere noi donne, insieme ai nostri mariti e compagni, nelle nostre famiglie a far nascere nei nostri bambini il seme prezioso della Pace. Possiamo essere quel vento che trasporta i semi, perché possano essere loro stessi gli autori del cambiamento che meritano.

domenica 17 febbraio 2013

Le parole che non ti ho scritto

L'avrò detto tante volte, ma ogni volta "scopro" qualcosa che me lo fa ricordare: da quando sono mamma sono una persona diversa. Ho imparato tanto, sento in modo diverso, è come aver sviluppato un altro senso. Mi sento parte di un disegno, un disegno bellissimo, ricco di colori, di tratti diversi, di stili personali, uno di quei disegni da guardare allontanandosi un po', ché tutto non lo puoi vedere altrimenti, ci sei troppo dentro. Ma se vuoi vedere bene dove va a finire un colore, un motivo che ti ha colpito, devi avvicinarti, devi immergerci la faccia come nell'acqua, e aprire gli occhi, anche se all'inizio brucia un po'...
"Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio", recita un proverbio africano. Ci sono tanti modi per capire la saggezza di queste parole, si parte dal più pratico e quotidiano... la zia che ti chiede "ce l'hai uno straccio che ti pulisco i vetri?"... la cesta dei panni sporchi svuotata che "te li lavo io, non ti preoccupare"... e l'ultimo (inutile) fardello di orgoglio va via. La suocera che viene a pulirti casa "così hai più tempo per stare con lei", e scopri che la sua unica colpa è quella di non essere tua madre e che no, quella proprio no, non può essere una colpa!
Poi c'è il modo del sentire, del leggersi, ascoltarsi, del riconoscersi parte dello stesso villaggio. Un villaggio fatto di persone, di parole, di voci di donne che imparo a conoscere, ad amare, anche senza averle mai incontrate sul serio. Ho imparato che condividere l'amore lo moltiplica, lo arricchisce, lo alimenta, lo traduce in mille lingue diverse che non sapevamo neanche di saper parlare, ma di sentire sì! E così mi sono sentita ringraziare per aver scritto parole che stavano in fondo al cuore di tante mamme, di averle commosse, di aver dato voce anche al loro amore, e mi sono commossa a mia volta, perché è capitato anche a me di leggere parole che avrei potuto o voluto scrivere io... traduzioni diverse di un amore uguale, variazioni sul tema, lo stesso tema... ho scoperto parole che non ti ho scritto, piccola mia, ma che ho sottolineato nei libri che ho letto, nei blog, le ho memorizzate, le tengo strette, come un tesoro, per andarle a rileggere, per sentire che non sono sola, che non siamo sole, che è questa la magia del villaggio: trovare e dare parole ai silenzi. Parole che ci difendono dalle accuse, dai pregiudizi, perché si sa, quando diventi madre tutti si sentono in dovere di saperla più lunga di te! E spesso è la solitudine che fa più male, la sensazione di non essere capite o apprezzate, ed è per questo che esiste il villaggio, per sentirti una mano calda sulla spalla, leggere qualcosa che ti scalda il cuore, che ti dia coraggio, perché ce ne vuole, ce ne vuole tanto!
Io le mie parole le cerco, le trovo, a volte le scrivo, molto più spesso le leggo, e ho deciso di condividerle con voi, con chi mi concede un po' del suo tempo.
Ne ho trovate di belle nel libro Sapore di mamma di Paola Negri, ricco di consigli pratici sul tema dell'allattamento, di testimonianze di mamme come noi, che riconosciamo sorelle, che ammiriamo, che ci tengono compagnia, che ci emozionano. Vi ricopio un messaggio di una mamma alla sua bimba, parole che non ho scritto, ma in cui mi sono riconosciuta:  

"Dormire vicine vuole dire per me stare tranquilla perché se tu hai freddo, oppure caldo, o se ti sei bagnata io sono lì vicino a te. Se dovessi piangere, ti potrei consolare subito, se hai fame o sete il seno è lì e non mi devo alzare. Dopo una giornata passata insieme, sarebbe impensabile per me separarci nel momento più dolce [...] il tuo respiro e il tuo odore di bambina mi fanno sentire bene, non potrei dormire lontana da te! [...] è bello stare sotto le coperte e sentire il contatto con la tua pelle profumata, le tue gambette, le tue braccia, la tua schiena liscia [...]
In quelle parole ho rivisto la tua schiena bianca, piccina, ho sentito l'odore della tua pelle, del nostro latte, la dolcezza dei nostri baci...
E ne ho trovate di stupende qui, il post è tutto bello, ma io spesso rileggo le ultime battute, come fossero poesia, e lo sono veramente, un pezzo d'arte, parole che ti innamorano: 

"Quello che so bene, è come stiamo, come sto. Come sto quando la vedo, la mia Pop(pona, appunto) viva di manine carezzevoli, di boccuccia golosa, di ditina tuffate nel seno, quando lo vede da lontano, ci si aggrappa, e con un urletto di gioia ci tuffa la faccia, e ciuccia. Come sto nella dolcezza struggente nei dormiveglia delle nostre lune di latte, quando inizia l’alba, e tutto è riposo, tutto è abbandono, e la sua bocca e il mio seno, il mio respiro e il suo. Sono notti d’amore che ricordano l’amore che l’ha portata. Ma lo ricordano per centuplicarlo. E sono notti che non passeranno, quando saranno passate. Ne serberemo, ne serberò, il ricordo. Il tepore. Io mi ricorderò del latte che hai preso. E della gioia che mi ha dato."  
Qualcuno penserà che sto esagerando, ma credo che l'arte sia quella cosa che ti (com)muove dentro, che senti in un posto imprecisato nella pancia, che ti fa sentire il sangue scorrerti sotto la pelle, sotto i capelli, nella gola, negli occhi. Come quando senti un tamburo e il cuore prende a batterti nel petto allo stesso ritmo, che pare già conoscerlo e invece non l'avevi mai sentito. È arte un giardino curato con amore, le iniziali ricamate su un lenzuolino, il vestitino di carnevale cucito a mano, è una fotografia che ti ruba l'anima per un attimo e ti racconta chi sei, senza parole, è una torta preparata da mani sapienti. Mani che impastano, cuciono, mani che accarezzano, mimano, che fanno le trecce, mani che consolano, che ti parlano, che scrivono. Perché sì, l'arte è anche questo... è Dio che ha nostalgia degli uomini, diceva il poeta Gojko nell'indimenticabile romanzo della Mazzantini.


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martedì 12 febbraio 2013

Un incontro speciale



È ormai più di una settimana che ci penso, mi dico scrivi!, ma il tempo non gioca ad armi pari, lui che viaggia sulle ali del vento, io a piedi che arranco sotto il peso della mia quotidianità.
Poi, tra l'altro, lui sembra sempre sapere dove andare, mentre io spesso mi perdo per la via. Ed eccomi qui, a cercare di fermare degli attimi che sono di oggi, ma sono già passato prossimo, e diventano presto remoti, tornano a guardarci dal fondo di occhiali spessi e dai contorni indefiniti, come quei calzini in fondo alla cesta dei panni da piegare, che un attimo prima erano qui e quello dopo non si ricorda nemmeno di averli mai avuti. Poi a volte riemergono quei calzini, ma non sono più gli stessi!
Perciò oggi mi fermo, che se ne vada dove vuole il tempo, ho le mani sul pc e la mente che corre a quell'incontro. Uno di quegli incontri che cambiano il passo al tuo andare, che ti incoraggiano, anche se hai inciampato, una voce e due mani semplici che ti scaldano il cuore anche se piove e fuori fa freddo.
La persona speciale è Elena Balsamo, cui sono ricorsa come si corre verso un fiore nel deserto, attirati dallo stupore e dalla sua bellezza, certa che mi avrebbe dato la forza di trovare l'acqua da sola!
Lei ci ha accolti nel suo studio, nella sua casa, dove ho potuto respirare un po' di tutto quell'amore che deve esserci passato, che ci passerà, quello privato, quello delle mamme con i loro bambini che si rivolgono a lei come pediatra. Un sacco di storie, di vite, di fili che disegnano trame, strade e di nuovo storie...
Ha raccolto maieuticamente il mio racconto e la nostra storia e, come scrive lei stessa nel suo sito sonoquiconte, mi ha teso la mano e mi ha offerto non uno ma due bouquet! Uno, di fiori di Bach, per la mia bimba, l'altro è per me, sono fiori di campo, semplici come non se ne vedono più in giro, ricchi di forza e di bellezza, che terrò gelosamente custodito nel mio cuore, per odorarlo nei momenti di maggiore sconforto, per ricordarmi di andare avanti.
Grazie Elena.  

sabato 9 febbraio 2013

Problemi tecnici

Mamma ho perso lo sfondo!
Scusate, non so com'è successo... ho contattato l'autrice del mio fighissimo e nuovissimo background scomparso, nel frattempo appendo il cartello "TORNO SUBITO" (spero!)

***

Ne ho prelevato un altro... mi piace cambiare. Mi piace pensare che il blog cambierà e crescerà insieme a noi, ma giuro che non pensavo di cambiarlo così in fretta! 

Besame mucho

Besame mucho, del famoso pediatra spagnolo Carlos Gonzales, è il primo vero libro da mamma che ho letto. Sottolineo vero perché prima c'è stato "Fate i bravi" della tata Lucia, che senza averlo finito l'ho schiaffato su una mensola (che buttarli i libri è peccato!) come monito alla stupidità, se vogliamo mia, per averlo comprato.
Besame mucho l'ho avuto in prestito, ricordo che era introvabile, e tuttora non è facile procurarselo.
L'ho letto con il pancione e mi sono sentita riappacificare. Ho sentito di potercela fare, ché tutto quello che dovevo sapere era già dentro di me, sarebbe venuto fuori insieme alla mia bambina, e così è stato.
Ho vinto la mia resistenza a leggere un libro scritto da un uomo, spinta dalla curiosità del suo enorme successo. Devo ammetterlo, è stata una rivelazione: quest'uomo sa parlare alle mamme! E lo sa fare perché parte in difesa di quello che queste hanno di più caro: i loro figli.
Riesce a dare voce a bisogni spesso dimenticati, taciuti, ai diritti dei più piccoli, ma anche a quelli delle loro madri e finalmente ti senti compresa e difesa nella tua fragilità.
Le sue parole sono balsamo per il cuore, mamma, ti dice di non cercare manuali per crescere il tuo bambino, di ascoltare il tuo cuore e nient'altro, di assecondare il tuo istinto. Che detta così sembra una banalità, ma non lo è. Perché la voce del cuore nella società in cui viviamo, non è nemmeno considerata, figurarsi se così, sepolta dentro di noi, sotto cumuli di pregiudizi e la paura di sbagliare, riusciamo a riscoprirla!
Non aspettatevi dunque un manuale di istruzioni, Gonzales non vi dice come far dormire i vostri figli, come farli smettere di piangere, come farli ubbidire, parla dei bambini, di come sono veramente, dei loro bisogni, delle loro paure, che sono legittime e hanno bisogno di essere ascoltate. Le sue parole, sincere e chiare, parlano con la parte migliore di noi, la risvegliano se vogliamo.
La sua ironia, gli esempi di vita quotidiana, di cui il libro è ricco, rendono la lettura piacevole e "partecipata", ti senti chiamato in causa, a riflettere, a rispondere, a sorridere, a essere per tuo figlio ciò che merita, che meritate entrambi: un genitore con il cuore, una persona vera, che costruisce con lui un percorso di vita. 
Un grazie particolare a Sara che me lo ha prestato!

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Bésame Mucho (Libro) Voto medio su 22 recensioni: Da non perdere
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domenica 3 febbraio 2013

La poesia quando si canta



È il titolo che ho pensato per l'etichetta di alcuni post. 
Quasi tutti contengono un link, magari da ascoltare in sottofondo, ma in alcuni c'è proprio un dialogo con una canzone, con le sue parole, che ho ricopiato e preso in prestito. 
Ci sono quelle volte che le canzoni mi entrano in testa e non vanno via se prima non ci ho fatto qualcosa, e allora mi fermo, mi metto in ascolto, loro dettano e io scrivo. 
Mi piace pensare che è perché io con le canzoni e le loro parole ci sono cresciuta. Ho una mamma canterina io, una mamma sarabanda, un jukebox in gonnella e grembiule che fa i piatti. Mia madre ci rispondeva (e lo fa tuttora) a suon di musica, ogni parola era un pretesto per accendere il giradischi (che nostalgia questa parola!) "Mamma non trovo il colore azzurro..." lei: "Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per meeeee..." 
o ancora: "Mamma, a chi hai comprat...", "Aaaa... a chiiiiiiii...", "Maahhh, eddai!" ... "sorriderò se non a teeeee..." e via dicendo cantando!
Faceva la musichetta persino masticando la mela, che io, a vederla musicata così, mangiavo anche quella!
Ti dedico anche questa, a te, che dalla città sei scappata in campagna e io, allora, non ho capito perché. Perché hai preferito una casa lontana e scomoda, che ho odiato tanto, come si odia una prigione. Ma poi sono cresciuta, ho fatto pace con la casa, con te, con me (più o meno) e l'ho sentito l'odore che devi aver sentito anche tu, l'odore di casa. Odore di fiori, odore di fuori, di lenzuola fresche asciugate al vento. Ho (ri)sentito i passetti svelti di un gattino che sale le scale per venirmi a svegliare prima di te, che con la tua voce flautata ti costringevi a dire "ragazze è ora di alzarsi!", sembravi cantare anche lì. Ho visto la luce che quando entra nella nostra casa vi rimane prigioniera e si specchia saltellando sul legno dei nostri mobili, sui disegni appesi della nostra artista preferita, sulle foto che raccontano la storia della nostra famiglia. E adesso un po' di campagna la sogno anch'io!
Ti lascio un ricordo qui, noi due che cantiamo la stessa canzone, e tu che incredula mi chiedi "come fai a conoscere le parole?" secondo te? Non è che proprio le conosco, ma mi lascio guidare, come in nessun altro caso so fare.