Se pensate che
la vita sia troppo breve per rileggere libri già letti, per rivedere film già
visti, visitare posti che si conoscono già, credete che rinuncereste a un bacio
dal vero amore solo perché lo avete già avuto? All’emozione di un tramonto,
solo perché lo avete visto altre volte? A una giornata al mare, perché insomma,
è sempre lo stesso mare?
Non esiste bacio
che sia uguale a un altro, il tramonto ti lascerà dentro qualcosa di diverso
ogni volta che troverai il tempo di guardarne uno, e il mare, il mare non si
ferma mai!
Così in questi
giorni ho sentito un richiamo e non ho saputo rifiutare… “Il dio delle piccole
cose” è sceso dalla mensola della libreria in cui dormiva insieme agli altri
compagni ed è di nuovo fra le mie mani. È il vero amore, ma non è più il primo
bacio, non il primo appuntamento, nessuna esitazione o timidezza, ci si conosce
bene. Non pensate che sia meno romantico, è solo più appassionato, ci si
sfoglia più in fretta per riabbracciarsi, per ricordarsi, e sì. Che lo ricordo!
Ricordo la
sensazione di vertigine che provai quando iniziai a leggerlo, una forza che mi
trascinava dentro e giù, in fondo e io mi opposi, tirando su la testa come per
non annegare. Quando fui in mezzo al fiume, là dove l’acqua si fa più profonda
e la corrente più forte, lo incontrai davvero e mi consegnò la chiave del suo
cuore. Mi venne voglia già allora di ricominciare daccapo!
Scrivendo, Arundhati
Roy ha creato come dei cerchi concentrici. Li ha creati con delle piccole cose,
raccontate poco alla volta o tutte insieme, il dio delle piccole cose, delle
piccole vite, delle piccole storie che insieme raccontano la Storia, il Mondo,
la Vita. Storie di piccoli uomini, sullo sfondo della grande Storia, di un
paese complicato e duro come l’India, tormentato e diviso tra la rivoluzione
marxista e i rigidi pregiudizi di casta. Storie di amori sbagliati e di una
bellezza struggente, che non trovano posto o perdono nell’ottusa legge
dell’uomo, ma che sono là per chi ha ancora bellezza negli occhi per riuscire a
vederle. In fondo ho sempre creduto che è là, dove la vita è più aspra e dura, che Dio sembra aver
nascosto gran parte della sua bellezza, una bellezza che non a tutti è dato di
vedere. Per chi non la vede, l’unica strada possibile è quella di distruggerla,
cancellarla, per negarla, al mondo. Perché chi non la vede la teme, ne ha paura
come di un’epidemia… “una paura rozza e inconfessata: la paura della civiltà di
fronte alla natura, dell’uomo di fronte alla donna, del potere di fronte
all’impotenza. L’impulso subliminale che l’uomo ha di distruggere quello che
non può sottomettere né divinizzare”.
L’andamento
della narrazione non segue un ordine cronologico, vediamo attraverso gli occhi
di due gemelli dizigotici, una visione imparziale, pura, di due anime che si
conoscevano ancora prima che la vita cominciasse. Il linguaggio è fortemente
evocativo, le parole diventano cose, colori, odori che arrivano veri. Con la
lingua si gioca, spesso i gemelli leggono parole al contrario, storpiano nomi, si
fanno carezze…
L’ultimo
capitolo racconta dell’incontro, dell’amore, un racconto appassionato e
fortemente sensuale, è come se l’autrice volesse lasciarci così, dopo la
perdita, la morte. Nonostante le cose orribili che sono successe, l’amore, la
speranza di quella piccola promessa: Naaley. Domani.
Perché l’amore spera, contro ogni
legge, contro ogni predizione, l’amore è lasciarsi e dirsi domani.
Ci
sono cose che migliorano con il tempo e l’esercizio, ci vuole passione, certo…
tra questi ci sono i baci e i libri.
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