Ti ricordo così piccola che la mia mano bastava a coprirti la schiena, la tua testa piena di capelli nel mio palmo. Fragile e forte, piena di vita, tutta vita, un mistero che respirava tra le mie braccia. Ricordo la pace che sentivo nel vederti dormire e mi dicevo che non c'è niente al mondo di più bello che vederti dormire. E lo dico ancora, ma mi contraddico un istante dopo, quando allunghi la mano per farmi una carezza, per abbracciarmi, quando ti sento parlare, rispondermi "TANTO" al mio "ti voglio bene amore"! Quando mi metti il broncio e poi lo disfi con il tuo sorriso, si scioglie tutto come neve al sole. Perché non c'è niente di più bello al mondo che sentirti e vederti crescere, diventare. Perché la vita è questo: diventare!
E mi dico che quella neonata, che quel mistero meraviglioso che sei stata per me lo sarai sempre. Perché è lì, dentro di te. Lo sarai sempre, per sempre.
È questo che penso mentre mi addormento anch'io, che a ogni compleanno sarai sempre più grande, ma sarai sempre quella piccola vita appena nata. Lo siamo tutti, i bambini che siamo stati, dovremmo ricordarcelo ogni volta che cerchiamo di essere ascoltati, di essere amati. I più fortunati lo sanno, altri se ne dimenticano, ma forse possono ancora scoprirlo.
Penso che anche Sandra Cisneros lo sapesse quando ha scritto La casa di Mango Street, quando ha scritto le sue short stories.
Sandra Cisneros è una scrittrice tra le più importanti della letteratura chicana. Ha una voce calda, un tono da cantante, fresco e avvolgente, una lingua che sembra un gioco, come quella dei bambini che tutto scoprono e non hanno ancora paura di sbagliare, un tocco che sa cosa andare a risvegliare.
L'avevo scoperta all'università, grazie alla prof che teneva un corso stupendo sulla letteratura americana, l'ho riscoperta quest'estate quando ho comprato due suoi libri e mi sono ritrovata a leggere una short story che avevo voluto tradurre ai tempi... l'ho cercata e l'ho trovata.
Se vi va di leggerla è riportata qui di sotto.
Nota importante: quella che trovate sopra è una proposta di traduzione personale, non la versione attestata e pubblicata in italiano, che trovate nel "Fosso della strillona", edito da La Nuova Frontiera.
Detto questo, un grazie di cuore alla professoressa Baccolini!
L'avevo scoperta all'università, grazie alla prof che teneva un corso stupendo sulla letteratura americana, l'ho riscoperta quest'estate quando ho comprato due suoi libri e mi sono ritrovata a leggere una short story che avevo voluto tradurre ai tempi... l'ho cercata e l'ho trovata.
Se vi va di leggerla è riportata qui di sotto.
Undici anni
Quello che non capiscono dei compleanni e che non
ti dicono mai è che quando hai undici anni ne hai anche dieci, e nove, e otto,
e sette, e sei, e cinque, e quattro, e tre, e due, e uno. E quando ti svegli il
giorno del tuo undicesimo compleanno ti aspetti di sentirti diversa, ma non è
così. Apri gli occhi e tutto è uguale a ieri, solo che è oggi. E non pensi di
avere undici anni, pensi di avere ancora dieci anni. E infatti ce li hai, sotto
quell’anno che ti fa diventare più grande.
Per
esempio qualche volta capita che dici qualcosa di stupido, e quella è la parte
di te che ha ancora dieci anni. O magari un giorno vuoi stare in braccio alla
tua mamma perché hai paura, e quella è la parte di te che ha cinque anni.
Oppure un giorno, ti vuoi mettere a piangere, come quando avevi tre anni. E va
bene così. Lo dico sempre alla Mamma quando vedo che è triste e sembra che
vuole mettersi a piangere. Può darsi che si sente come quando aveva tre anni.
Perché
diventare grandi somiglia a una cipolla o ai cerchi dentro il tronco di un
albero o alla mie bamboline di legno che si infilano una dentro all’altra, ogni
anno dentro al prossimo. Ecco com’è avere undici anni.
Non
pensi che hai undici anni, per niente. Passano dei giorni, delle settimane a
volte, o anche dei mesi prima che rispondi undici quando ti chiedono l’età. E
non ti piace dire undici, almeno non fino a quando non hai quasi dodici anni. È
proprio così.
Però
oggi non volevo avere solo undici anni che mi rotolavano dentro come monetine
dentro una scatoletta di latta. Oggi volevo avere centodue anni invece che
undici perché se avevo centodue anni lo sapevo cosa dire quando Mrs. Price ha
messo il maglione rosso sul mio banco. Sapevo dirle che non era mio invece di
stramene lì seduta con quella faccia e niente che mi usciva dalla bocca.
“Di chi
è questo?” dice Mrs. Price, e tiene in mano il maglione rosso per farlo vedere
a tutta la classe. “Di chi è? È rimasto nell’attaccapanni per un mese.”
“Mio
no,” dicono tutti “Io no.”
“Deve
essere di qualcuno,” dice Mrs. Price, ma nessuno si ricorda. È un maglione
bruttissimo con i bottoni rossi di plastica e il collo e le maniche così
stropicciate che le puoi usare come corda per saltare. Sembra vecchio di
cent’anni e
anche se era mio non lo dicevo.
Forse
perché sono secca, forse perché le sto antipatica, quella stupida di Silvia
Saldìvar dice: “Per me è di Rachel”. Uno schifo di maglione come quello, tutto
rovinato e vecchio, ma Mrs. Price le crede e così prende il maglione rosso e lo
mette proprio sul mio banco, ma quando apro la bocca non mi esce niente.
“Non è,
io non, lei non…Non è mio,” dico alla fine con una voce così piccola che forse
ero io quando avevo quattro anni.
“Ma
certo che è tuo, ” dice Mrs. Price. “Mi ricordo di avertelo visto addosso una
volta.” Solo perché lei è più grande ed è la maestra, lei ha ragione e io no.
Non è
mio, non è mio, non è mio, ma Mrs. Price è già arrivata a pagina trentadue, al
problema di matematica numero quattro. Non so perché ma tutto a un tratto
sento un male dentro, come se la parte di me che ha tre anni mi vuole uscire dagli
occhi, ma io li chiudo forte forte e stringo i denti strettissimi e cerco di
ricordare che oggi ho undici anni, undici. La mamma mi farà una torta per
stasera, e così quando papà torna a casa tutti canteranno tanti auguri a te,
tanti auguri a te.
Ma
quando non sento più male e apro gli occhi, il maglione rosso è ancora là come
una montagna rossa gigante. Allora lo sposto nell’angolo del banco col mio
righello. E allontano il più possibile la mia matita, i miei libri e la mia
gomma. E un pochino sposto anche la sedia verso destra. Non è mio, non è mio,
non è mio.
E nella
mia testa cerco di pensare a quanto manca al pranzo, quando finalmente posso
prendere il maglione rosso e tirarlo via oltre il cortile della scuola, oppure
lasciarlo appeso ad un parchimetro o arrotolarlo tutto come una pallina e
lanciarlo nel vicolo. Ma quando l’ora di matematica è finita Mrs. Price si
mette a gridare davanti a tutti, “Adesso basta Rachel,” perché ha visto che ho
spinto il maglione rosso nell’angolo piccolo piccolissimo del banco ed era
rimasto lì a penzolare come una cascata, mentre io facevo finta di niente.
“Rachel,” dice Mrs. Price. E lo dice in un modo che sembra molto arrabbiata.
“Adesso ti metti quel maglione e la smetti con queste stupidaggini.”
“Ma non
è…”
“Subito!” Dice Mrs. Price.
Ecco
quando non volevo avere undici anni, perché in quel momento tutti gli anni che
avevo dentro (dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due e uno)
si erano messi a spingere da dietro gli occhi quando ho messo un braccio nella
manica di quel maglione che puzzava di formaggio, e poi dopo, l’altro braccio
nell’altra manica e stavo lì con le braccia aperte come se il maglione mi
faceva male, ed era vero, tutto che pungeva e pieno di germi che non sono
neanche i miei.
E in
quel momento tutto quello che avevo trattenuto la mattina da quando Mrs. Price
aveva messo il maglione sul mio banco è uscito fuori, e tutto ad un tratto sono
scoppiata a piangere davanti a tutti. Volevo essere invisibile ma non lo ero.
Ho undici anni e oggi è il mio compleanno e sto piangendo come una di tre anni
davanti a tutti. Mi metto la testa nel banco e mi nascondo la faccia tra le
braccia con quelle stupide maniche da clown. Ho la faccia tutta calda e la
saliva che mi viene alla bocca perché non riesco a fermare quei versi che
faccio, finché non mi vengono più lacrime negli occhi e tremo tutta come quando
ho il singhiozzo e la testa mi fa male come quando bevo il latte troppo in
fretta.
Ma il
peggio arriva proprio prima della campanella. Quella stupida di Phyllis Lopez,
che è ancora più cretina di Sylvia Saldìvar, dice che si ricorda che il
maglione rosso è suo! Così io me lo tolgo subito e glielo do, solo che Mrs.
Price fa finta di non accorgersi di niente.
Oggi ho
undici anni. La mamma mi sta facendo una torta per stasera e quando papà torna
dal lavoro la mangeremo. Ci saranno le candeline e i regali e tutti canteranno
tanti auguri a te, tanti auguri a te Rachel, solo che ormai è troppo tardi.
Oggi ho
undici anni. Ho undici anni, dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro,
tre, due e uno, ma volevo avere centodue anni. Volevo avere tutto tranne che
undici anni, perché voglio che oggi sia già lontano, lontano come un palloncino
che vola via, come una piccola, piccolissima o nel cielo, così minuscola
che devi stringere gli occhi per vederla.
Nota importante: quella che trovate sopra è una proposta di traduzione personale, non la versione attestata e pubblicata in italiano, che trovate nel "Fosso della strillona", edito da La Nuova Frontiera.
Detto questo, un grazie di cuore alla professoressa Baccolini!
un pezzo bellissimo!
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